Il Grand Restaurant
A volte non si riesce ad andare d’accordo con gli chef dei ristoranti. Non che non siano tutti molto simpatici, ma a me piacciono quelli vecchio stampo: italiani, con i capelli bianchi e gli occhi da cerbiatto malinconico. Persone che ti raccontano tutto di questo o quel posto, che ci hanno passato così tanto tempo da esserne diventati parte integrante. Proprio il tipo di persona che lavora qui. Una volta arrivati e rinfrescati, si prende l’aperitivo. È già iniziato il balletto dei camerieri, le giacche del giorno diventano scure per il servizio serale. Leggeri e aggraziati, con un’organizzazione meticolosa. A mio parere, lo spettacolo più bello d’Europa.
Si accendono le candele, i sommelier indossano i papillon, i cuochi dei ristoranti sono vestiti di nero, qualcuno suona il pianoforte in sottofondo. Tutto appare come al solito. Ci si siede davanti a vecchi argenti, si guarda l’enorme soffitto rivestito di legno, si stende il tovagliolo sulle ginocchia e si aspetta che Angelo arrivi con la carta dei vini. Mi porta subito un Pinot Nero svizzero da assaggiare, proprio come piace a me. Mi dice che aveva letto di me da qualche parte. Quest’uomo mi è piaciuto fin dall’inizio. Mi piacevano la sua altezza, le spalle dritte, i capelli corti e grigi. Aveva quel gene del maggiordomo d’altri tempi che si ha solo in modo innato, un atteggiamento e non solo pura cortesia, ed era italiano. Lavorava a Villa d’Este durante l’estate. Faceva quello che fanno gli altri camerieri, solo senza sudare, senza cadere, con una certa maestria, ben conscio di aver bisogno degli altri colleghi e dei loro errori. Mi ha fatto vedere un video degli Champs Élysée, il negozio di Yves Saint Laurent aperto da poco, o di Louis Vuitton, non so, quello che sembra una grande valigia e brilla di notte. In qualsiasi altra situazione non sarei stato interessato, ma ero lì, a passeggiare per strada di notte con la mia ragazza. Abbiamo parlato di molti altri posti, tra i suoi preferiti c’erano Pompei, la Sardegna e Nizza. I miei erano Parigi, Vienna, Milano, Antibes, Madrid e San Sebastián. Se non mi sedevo tra i lilla almeno una volta all’anno, non nuotavo a Cap d’Antibes, non bevevo al bar del Camparino, non leggevo qualcosa allo Sperl, non passeggiavo nel parco del Retiro, non vedevo i balconi di Matisse, non mangiavo da Tito o non pensavo di chiacchierare con la mia ragazza sul Lago di Como, niente aveva senso per me. Mi piaceva parlarne con lui, in quel posto.
La luce delle candele si rifletteva nella sala, resa ancora più calda dal soffitto in legno. Dalle ampie finestre si vedeva il lago ghiacciato di notte. Angelo veniva sempre a chiedermi un parere su questa o quella cosa, sullo sci, su Macron, sui ristoranti negli hotel e sui marciapiedi, annuendo come se tra noi ci fosse un accordo segreto. Naturalmente doveva anche pensare al servizio. I camerieri tra loro si fanno alcuni segni. Tutto sta andando perfettamente e poi, all’improvviso, una forchetta cade o qualcuno riceve il vino sbagliato: queste sono situazioni imbarazzanti che solo poche persone riescono a gestire. Angelo è in grado di fare tutto questo, grazie all’esperienza e alla sua profonda conoscenza delle persone. Alla fine mi ha detto: «Ci vediamo domani, Signore, le racconterò il resto». Lo disse come per rassicurarmi che l’indomani avrei trovato l’Europa e il vino rimasto.
Di mattina sono stato svegliato dalla cameriera. Non mi ha dato fastidio. Ha detto «Desculpe» e «Bom Dia». Il mio portoghese appassionato aleggiava ovunque. Ho risposto in portoghese che non importava e che volevo comunque fare colazione. La colazione: un sogno. Non il cibo offerto, perché non mangio quasi mai al mattino, ma la stanza delle colazioni e tutto il resto. Fuori si vedeva il primo azzurro del giorno dietro le tende trasparenti; all’interno i lampadari e le giacche bianche, con le mostrine d’oro sulle uniformi. Sembrava di essere sul Titanic. I Grand Hotel sono palcoscenici che mettono in scena la storia. Brillano come testimonianze di civiltà sulle coste di questo mondo, sedi diplomatiche che si possono utilizzare, toccare e sporcare. Come grandi navi a vapore, viaggiano nel tempo trasportando il presente di un’epoca passata in modo che il mondo di ieri possa esistere ancora in un prossimo futuro. Conservano cortesie dimenticate da tempo, mantengono in vita con amore professioni estinte e hanno a bordo, come un’arca, qualcosa di perduto e necessario per la sopravvivenza. C’è una differenza tra gli hotel classici come il Kulm e gli hotel per nuovi ricchi, dove la gente va solo per mostrare il proprio status. Si tratta di una verità che ognuno deve scoprire da solo, individuando cosa si intende per verità. In ogni caso, la verità non può essere equiparata ai soldi, se non per le persone che non conoscono il prezzo di qualcosa e il valore di niente.
Autore: Konstantin Arnold